L’Italia sembra essere la nazione che si è spinta più in là con le legislazioni che favoriscono e preferiscono l’uso di software libero (open source), avendo nel Dicembre 2012 cambiato l’art. 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale, introducendo un obbligo di scegliere software libero o a codice aperto, ovvero software in riuso, tranne nei casi in cui ciò fosse impossibile, e tale valutazione di impossibilità va fatta secondo i criteri e i metodi fissati dall’Agenzia per l’Italia Digitale, che li ha pubblicati sul suo sito l’8 gennaio 2014.

Con tale pubblicazione non ci sono più scuse, non ci sono spazi per interpretazioni ambigue. La valutazione non può che essere secondo i criteri e le metodologie fissati dal documento. Il quale ha preso la forma di “linee guida”, ma non per questo ha perso la sua natura. Il richiamo al compito affidato all’Agenzia è infatti chiaramente espresso.

Singolare è il metodo con cui si è arrivati a tale stesura, infatti, pur avendo i responsabili dell’Agenzia preso un ruolo guida nella scrittura, è stato convocato un tavolo di lavoro di esperti, provenienti sia dall’industria che dalle comunità e dal mondo accademico (l’elenco completo è nel documento). Pare che sia la prima volta che si sia seguito questo metodo, preceduto da un pubblico avviso a cui hanno risposto una sessantina di interessati (convocati 15).

Operativamente le regole sono semplici:

Viene redatta una griglia di punteggi, più o meno dettagliata (a seconda delle esigenze) sulla base dei criteri di valutazione fissati dall’art. 68 comma 1-bis CAD; vengono attribuiti punteggi alle soluzioni che vengono rinvenute in base a uno scouting delle soluzioni prospettabili; viene deciso un ordine di preferenza tra le varie soluzioni e in base ordine si procede secondo le norme del codice degli Appalti.

Nel caso in cui la valutazione comparativa porti a una graduatoria in cui superano la sufficienza più soluzioni alternative, di cui una o più nelle categorie “software libero o a sorgente aperto” e/o “software in riuso”, queste debbono essere preferite a soluzioni proprietarie (in cui includerei anche le soluzioni via cloud, anche se la norma è ambigua), salvo che non ci sia una forte carenza in un punto di valutazione giudicato molto importante, nel qual caso va comunque motivato espressamente perché tale punto è irrinunciabile.

Al di là dei dettagli procedurali, è ovvio che qualora un’amministrazione procedesse a un’assegnazione a software proprietario non valutando appropriatamente le soluzioni alternative in software libero o riuso, oppure valutandole ma non dando una forte motivazione, di “impossibilità”, le conseguenze potrebbero essere sia una nullità dell’assegnazione impugnabile al TAR, sia una responsabilità amministrativa del dirigente.

Tra l’altro la norma affida all’Agenzia il compito di rendere pareri (non vincolanti) circa il rispetto delle norme così stabilite, il che dovrebbe servire da deterrente per molti, in quanto il parere può essere chiesto da chi fosse interessato (inclusi eventuali concorrenti).